La guerra non è mai un bell’affresco ma è sempre una rappresentazione di laceranti disumanità, volti terrificanti, espressioni prive di umanità. E’ un palcoscenico vuoto senza attori. Così è, così è stato, sul sarà dobbiamo sempre sperare.
Aristofane con la sua ironia tragica e parossistica tratta negli Acarnesi uno dei grandi temi che caratterizza tutta la sua opera: la pace. Ma la pace concreta, non quella utopistica della tradizione. Per Aristofane la Pace non è uno stato di calma mortifera ma di festa dionisiaca. Nel suo mondo si mangia e si beve, si fotte e si sfotte. Il bersaglio sferzante del riso e del divertimento è la meschinità di chi con la guerra specula e il pianto è concesso solo ai poveri soldati che vanno a morire sui campi di battaglia.
Il coro degli Acarnesi, vecchi eroi di una guerra lontana, inizialmente disprezza Diceopoli, protagonista della commedia, il quale, in autonomia, ha stipulato la pace con la nemica Sparta. Ma i vecchi, scena dopo scena, si lasciano convincere e comprendono che la pace è l’unica vera gioia per cui combattere.
Nel testo si parla continuamente di un nemico esterno che nei fatti risulta indefinito ed invisibile. Tutti attribuiscono a Lui la colpa del male che li affligge. Ma il nemico non appare, non è in scena, per il semplice fatto che un nemico vero e proprio non c’è.
Ci sono, invece, le dinamiche politiche che dalla presenza di un “nemico” possono sempre trarre vantaggio e cioè: i delatori, gli ambasciatori corrotti, i mercanti di morte, i generali ambigui, gli spioni, i traditori e tanti altri (quanta attualità in queste invenzioni). Il nemico, quello “Utile”, sa trasformarsi e sopravvivere nei secoli: non viene mai sconfitto. Quel nemico è giunto fino a noi in gran forma e in forme diverse, forme aliene sempre in grado di confondersi alle paure più profonde, radicali e inconsce degli uomini. Il nemico appare sempre pronto a minacciare ciò che amiamo.
Quindi, poiché il nemico esterno non lo si può efficacemente combattere, in ogni società v’è bisogno di un agnello sacrificale (per dirla alla René Girard) o di un gruppo interno alla comunità che sacrifichi una parte di se per salvare la collettività tutta.
In Acarnesi il conflitto non nasce contro il nemico esterno, con cui alla fine della prima scena il protagonista stipula senza difficoltà la pace, ma è insito nella società stessa, nella polis, tra i propri simili, nei vicini, insomma nel demos. Sono le fazioni opposte che confliggono all’interno della società che nel testo cercano di elidersi, sopprimersi e scannarsi. Solo apparentemente la pace da stipulare è quella con l’odiata Sparta. La vera pace è quella da costruire all’interno della propria comunità.
Da qui l’insopprimibile desiderio di demolire, ridere ed esorcizzare la vacuità della nostra politica con spirito di festa, quasi, “dionisiaca”. In scena quattro poliedrici attori che attraverso un gioco continuo di cambio di identità e ruoli, celebreranno la commedia classica amplificando e a volte deformando lo spirito originario della commedia aristofanea. Macchine teatrali saranno i costumi che daranno vita ai personaggi e costruiranno la moltitudine del coro degli Acarnesi. Un senso di ingiustizia verso il nostro tempo ci spinge ad affrontare la messa in scena di questa commedia antica. Ci irrancidiscono le notizie, che proprio nei giorni in cui ci prepariamo a costruire lo spettacolo, ci riportano di venti di guerra all’interno dell’Europa.
Le tristi notizie che tartassano i nostri cellulari e una sempre crescente sensazione di inadeguatezza ci pervade e ci ferisce. In comune accordo con la compagnia abbiamo deciso di affrontare questo senso di disorientamento non attraverso un grido di rabbia o di violenza ma con lo scherno, il riso e la burla. Come Diceopoli, anche noi, sentiamo il bisogno di agire sulla realtà, di invertire la marcia e di declamare il nostro desiderio di pace, sebbene sia solamente una pace privata.
Negli Acarnesi, invece, ci sembra di intravedere quella generazione del boom economico e quella subito successiva, che hanno vinto la grande sfida della ricostruzione. Una generazione in cui scorgiamo un infiacchimento, non per questioni anagrafiche, ma a causa della delusione per un mondo che ormai corre troppo veloce per loro. Queste due generazioni a confronto, quella dei giovani che desiderano costruire la loro realtà e quella di coloro che sentono che la propria vita sia stata dimenticata, sono una fotografia perfetta del nostro paese.
C’è un senso di vergogna che proviamo verso ogni forma politica che cerca di gestire la cosa pubblica. Questa insoddisfazione dovrebbe farci reagire ed invece ci rende solamente più delusi e depressi. Per questo lo spettacolo invita il pubblico a destarsi dal torpore attraverso la risata e la gioia. Perché è sconsolante pensare che ancora oggi le dinamiche che denuncia Aristofane non siano affatto cambiate. È vero che i classici sono tali perché racchiudono in sé delle verità eterne, ma che l’umanità continui a massacrarsi tra simili e tra diversi è una constatazione avvilente.
L’ingresso è regolato da Normativa Sanitaria Vigene – Si prega prenotare
Inizio Spettacoli Ore 21,00
Dettagli spettacolo
Acarnesi
Gruppo della Creta
di Aristofane
regia Alessandro Di Murro
adattamento di Anton Giulio Calenda e Alessandro Di Murro
con Matteo Baronchelli, Alessio Esposito, Amedeo Monda, Laura Pannia
Nei Teatri di Pietra
Giovedì 4 agosto
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