Ifigenia in Aulide
AC Zerkalo

Prime note di regia

Ultima della tragedie euripidee, rappresentata postuma nel 399 a.C. in un periodo di profonda crisi del modello della pòlis greca – di lì a poco ci sarebbe stata la disfatta di Atene contro Sparta e la fine di un modello politico e democratico; Ifigenia in Aulide è una tragedia ambigua in cui, come nell’Alcesti, si mette in scena un sacrificio e una morte che
poi si rivelerà apparente. Gli dèi di fatto non ci sono più, il tragico sembra sfarinarsi per assenza di eroi che in Euripide sono solo uomini lacerati, deboli, mutevoli, che agiscono in base ai loro desideri e alle loro paure, lontani anni luce sia dal modello omerico che da quello eschileo. A dominare è la ragione strumentale e il discorso politico del potere.
Emblematico, in questo senso, è il trattamento che Euripide fa di Achille, eroe demitizzato, quasi un personaggio comico, incapace di corrispondere al suo stesso mito originario, che non agisce, evita lo scontro con i soldati, facendosi sofisticamente paladino della persuasione e del dialogo, pur ripetendo – quasi volesse essere quell’Achille omerico che
Euripide non gli permette di rappresentare – che lui salverà Ifigenia. Come quando dice a Clitemnestra: « Ti sono apparso come un dio e non lo ero. Ma lo diventerò ». La crisi del sacro in Euripide emerge anche dalla figura dell’indovino, qui considerato dai protagonisti alla stregua di un volgare ciarlatano, di un imbonitore funzionale a tenere a bada la massa.
In questo primo studio, ho voluto seguire il trattamento euripideo del mito cercando di far emergere la violenza che abita il testo e le contraddizioni di personaggi, che Euripide presenta come “umani troppo umani”; la loro inadeguatezza al mito, l’abisso del privato al di sotto del mascheramento della parola pubblica, l’ambizione, la doppiezza. Tutto è ambiguo, apparente, a cominciare dal dialogo iniziale tra Menelao e Agamennone, da cui emergono due figure deboli, mediocri e velleitarie, che si scambiano accuse dicendo la verità l’uno dell’altro. Euripide crea una tensione tra il mito e la realtà, utilizzando il primo come mascheramento della seconda: così, in questa versione del mito degli Atridi, Agamennone non è solo costretto dagli eventi a sacrificare Ifigenia, dall’inconciliabilità tra essere re ed essere padre; Euripide, con grande conoscenza delle contraddizioni che abitano l’umano, mette a fuoco il desiderio di potere del re, l’ambizione personale a cui però non corrisponde una piena consapevolezza del prezzo da pagare, sempre comicamente in bilico tra ambizione e paura, tra desiderio e incapacità d’azione.
L’abbassamento di tutti i personaggi della tragedia è funzionale all’innalzamento della giovane Ifigenia, “nata forte”, che decide di sacrificarsi, di accettare e addirittura di volere il destino che è stato scelto per lei dal padre, in un trionfo di amor fati che solo può riscattare dalla febbre fagocitante che qui prende tutti i personaggi della tragedia – compresa Clitemnestra – qui lontanissima dalla donna implacabile e inconciliabile, descritta nell’Orestea di Eschilo. Nell’esaltazione finale nella quale Ifigenia accetta la sua morte, c’è l’assunzione piena del punto di vista del padre Agamennone e del maschile, ma non per debolezza: accettando e decidendo la sua morte Ifigenia si individualizza, esce dall’indistinzione diventando “qualcosa” nella morte imminente, un comandante lei stessa, sollevando allo stesso tempo il padre amato dalla piena responsabilità del sacrificio.
Una scelta netta della regia è stata quella di recuperare nell’esodo, considerato spurio, l’ipotesi che a raccontare della sostituzione di Ifigenia con una cerva non fosse un messaggero ma il deus ex machina della dea Artemide. Nello specifico, ho voluto affidare il racconto dell’apoteosi della giovane a un’altra giovane donna, velata: una Straniera, volutamente interpretata dalla stessa attrice che interpreta Ifigenia, in modo da suggerire un cortocircuito emotivo (la voce della Straniera è la stessa voce che il pubblico ha ascoltato per più di un’ora solo il volto è interdetto dal velo) e allo stesso tempo svelare la natura convenzionale del deus ex machina euripideo, suggerito dalla stessa battuta finale di Clitemnestra quando dice: « come non dire che sono solo favole senza fondamento per farmi smettere di piangere a lutto per te? » . Poco importa se la giovane si è davvero salvata all’ultimo istante, il tragico si è già pienamente dispiegato nella sua natura
inemendabile, ed è passato all’interno della coppia, nella sfera borghese, segno di come la tragedia euripidea si sfaldi durante il suo farsi e annunci quasi il dramma borghese. Il finale, in cui Agamennone e Clitemnestra, marito e moglie stanno faccia a faccia, spogliati dagli abiti tragici è il compimento – che la regia ha voluto attuare – di questo slittamento
dalla tragedia al dramma.

Alessandro Machìa

L’ingresso è regolato da Normativa Sanitaria Vigene – Si prega prenotare

Inizio Spettacoli Ore 21,00

Dettagli spettacolo

Ifigenia in Aulide

AC Zerkalo

di Euripide, versione italiana di Fabrizio Sinisi

regia di Alessandro Machìa

scene Katia Titolo – costumi Sara Bianchi

con Roberto Turchetta, Carolina Vecchia,  Alessandra Fallucchi

e Laura Lattuada , Andrea Tidona

Nei Teatri di Pietra

Domenica 17 luglio

Anfiteatro Sutri

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